Il prodotto deriva dall’impiego di una varietà di origine francese “Favette”, introdotta nel territorio in esame circa 50 anni fa e ancora oggi presente, grazie alle favorevoli condizioni pedo-climatiche che le hanno consentito di attecchire esclusivamente in questa zona. Ciò potrebbe essere erroneamente ritenuto un punto debole del sistema, considerato il rapido turnover degli standard varietali che caratterizza le altre aree fragolicole italiane, invece, è decisamente un punto di forza dettato proprio dalla specificità e storicità di questa varietà, coltivata a livello mondiale solo in questo areale. La Fragola Favette di Terracina si presenta con una forma tonda-circolare, di colore rosso intenso e con un sapore molto più dolce rispetto alle altre varietà che risultano anche meno profumate e più consistenti. Il periodo di produzione va a fine marzo in serra a fine giugno in pieno campo, permettendo al prodotto di
arrivare sul mercato in forma scaglionato nel corso della campagna commerciale.
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Finocchio della maremma viterbese PAT Lazio
Sodo, particolarmente croccante e decisamente bianco, il Finocchio della maremma viterbese presenta una pianta di forma compatta e taglia media, con apparato radicale fittonante, a produzione medio-tardiva, con una buona resistenza al freddo e alla pre-fioritura. Il fusto è cilindrico, le foglie sono lungamente picciolate, tri o tetra pennatosette, con larga guaina basale ispessita ed avvolgente di colore bianco a formare il “grumolo”. Il grumolo, di taglia media, presenta colore bianco e foglie raccolte. Le varietà che concorrono alla produzione del Finocchio della maremma viterbese sono quelle riconducibili alla tipologia “finocchio Romanesco”
View More Finocchio della maremma viterbese PAT LazioPeperone alla vinaccia PAT Lazio
Per questa preparazione si utilizzano i peperoni seminati tardivamente, in modo da posticipare la raccolta e farla coincidere con la vendemmia. Dopo la raccolta, i peperoni si dispongono in un unico strato, su ripiani di legno mantenuti in ambiente fresco e ventilato per circa 10 giorni, al fine di farli asciugare. Successivamente si trasferiscono in contenitori a bocca larga, alternandoli a strati di vinaccia non torchiata. Dopo la stratificazione, il contenitore viene colmato con una soluzione in parti uguali di acqua ed aceto a cui si aggiunge del sale grosso. Si tratta di una preparazione familiare di antichissima tradizione culturale.
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I fichi del terzo fiore (quelli più piccoli che si sviluppano da luglio in poi) vengono essiccati, interi o divisi in due, prima al sole e successivamente in un forno a legna. Vengono conservati infilzandoli in una
canna, tagliata a listarelle: in questo modo possono essere consumati anche fino alla successiva stagione. La metodologia di trasformazione e conservazione del prodotto è tramandata da generazioni. Consumati prevalentemente nel periodo natalizio, i fichi secchi si conservano per molto tempo, mantenendo inalterate le loro numerose proprietà nutritive. L’essiccazione è uno dei metodi classici di conservazione del prodotto fresco, che si assembla in maniera tale da dar vita a simpatiche figure di dame e cavalieri o altro
Ferlengo o finferlo di Tarquinia PAT Lazio
Ferlengo è il nome con il quale nel Viterbese si identifica il Pleurotus eryngii, varietà pherulae, della famiglia delle Pleurotacee, genere Pleurotus, noto come “fungo della ferla”, perché cresce nelle ceppaie di ferula, piante spontanee diffuse nei campi incolti del territorio di Tarquinia e Monteromano, simili al finocchio selvatico. Il Ferlengo ha un cappello carnoso, liscio, a forma di ventaglio o di ostrica; un gambo non molto lungo, color bianco sporco, lamelle fortemente decorrenti sul gambo, mediamente fitte. Ha carne biancastra, odore trascurabile, sapore dolce.
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Ad Aquino, il 2 novembre di ogni anno si svolge nella piazza di San Tommaso, una manifestazione che richiama numerose persone attratte dalla storia dell’evento. Il rito ha origini antiche e risale ad oltre 200 anni quando un’antica famiglia di Aquino i Pelagalli, preparava nella notte tra il 1 ed il 2 novembre, una minestra a base di fave. In merito al tempo trascorso, si riportano le riflessioni di Don Battista Colafrancesco, parroco di Aquino per molti anni: “Questa tradizione, purtroppo è scomparsa ed è durata anni ed anni: forse cento, forse duecento anni. Nessuno lo può dire; neppure i Pelagalli che di questa tradizione sono stati gli iniziatori!
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Il Farro del Pungolo di Acquapendente ad oggi viene coltivato in un’area ristretta di 3-4 ettari e si ottiene da una varietà locale coltivata da tempo immemore.
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Farina ottenuta dalla lavorazione del Marrone Antrodocano. Di colore nocciola chiaro e sapore dolciastro, utilizzata per preparare pani, minestre, focacce, polente, oltreché per la realizzazione del tradizionale Castagnaccio.
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Nell’economia agricola bellegrana, per secoli, il fico secco è stato d’importanza fondamentale, infatti veniva prodotto ed utilizzato come merce di scambio con le popolazioni delle zone più interne fino a quasi tutta la metà del ‘900. A partire dagli anni ’40-’50 del XX secolo, invece si è manifestato un notevole
interesse economico per il fico come prodotto fresco, denominato “Fallacciano”, con una crescita esponenziale nella coltivazione e produzione fino agli anni ’80. Già dalla metà degli anni ’70 si svolsero le prime sagre del Fallacciano nel comune di Bellegra. Durante il periodo della raccolta, nell’ultimo fine settimana di luglio, che precede tra l’altro la festa del patrono del paese San Sisto II P.M., viene dedicata a questo dolce e pregiatissimo frutto la famosa e tradizionale “Sagra del Fallacciano” durante la quale, tra spettacoli popolari e folkloristici, è possibile degustare il gustoso fico in tutte le sue diverse modalità di preparazione.
Fagiolone di Vallepietra fagiolo ciavattone PAT Lazio
Il Phaseolus coccineous è nettamente diverso dal Phaseolus vulgaris. Originariamente questa specie era coltivata solo a scopo ornamentale per il gran numero di fiori scarlatti che compaiono alla fioritura. Successivamente sono stati selezionati per il consumo umano i tipi a fiore bianco come, appunto, il ‘fasciolone’. Il nome deriva dalla forma del seme bianco, molto grosso, da cui la consuetudine di indicarlo con l’accrescitivo. Le notizie raccolte in loco, dai vecchi agricoltori, non hanno però consentito di definire né l’epoca di inizio della coltivazione di questo ecotipo, né la sua provenienza. Il seme è custodito da agricoltori anziani del posto che lo tramandano da generazioni.
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