La coltivazione delle zucche nella Val Belluna ha caratterizzato, almeno negli ultimi due secoli, l’economia domestica delle famiglie contadine. Stimolo alla coltura della zucca era l’allevamento del maiale, per il quale le cucurbitacee costituivano un alimento eccellente. Infatti la sua coltivazione si diffuse nel corso del XIX secolo proprio a seguito di un incremento dell’allevamento del maiale, reso possibile dall’introduzione e diffusione della patata all’inizio del secolo. Nell’alimentazione umana aveva dunque un ruolo abbastanza secondario. Era comunque abitudine coltivarla in consociazione con il granoturco, seminata all’interno del campo oppure, un po’ più razionalmente, veniva coltivata ai bordi del campo. Se l’alimentazione animale era il destino prevalente, la zucca trovò impiego anche nell’alimentazione umana e in forma minore per ricavarvi qualche oggetto, ciotole e soprattutto borracce. A conferma della forte tradizione e interesse per la “zucca santa” in taluni comuni bellunesi e, nello specifico, nella frazione di Caorera del comune di Vas, sono organizzate feste paesane dedicate alla cucurbitacea.
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Zucca marina di Chioggia PAT Veneto
La diffusione della coltivazione di diverse varietà di zucche sul territorio nazionale è dovuta alla notevole adattabilità e rusticità di questa orticola. Il Veneto è una delle regioni italiane dove l’ortaggio si è meglio acclimatato ed è coltivato in maniera intensiva per un consumo abituale. La “zucca marina di Chioggia” grazie alle doti di buona conservabilità del frutto era un ortaggio sempre presente nelle mense più povere nel periodo invernale, quando scarseggiavano altri prodotti dell’orto. È tradizionalmente legato al territorio di Chioggia anche se da sempre è considerato il parente povero tra i pregiati ortaggi della zona.
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Il professor Maccagnan Guerrino, storico di Veronella, evidenzia nel libro dedicato a “Ottavia Fontana. Maestra e Sindaco di Veronella”, pubblicato nel 2010, la presenza nel territorio veronellese di una diffusa coltivazione della “verza moretta” già nell’Ottocento. Lo scrittore descrive così il contesto storico-sociale di quel periodo: “Il lavoro agricolo era senz’altro l’occupazione più diffusa, incentrata soprattutto sulla produzione cerealicola e sulla pratica della bachicoltura, della viticoltura, della frutticoltura e della tabacchicoltura. (…) Nel contesto produttivo si collocavano anche i mercati, tra cui godeva una certa rinomanza quello delle verze (morette veronesi) di Veronella, da dove partivano per essere esportate nelle città del Veneto e perfino in Val d’Aosta”. Fino al 1920 le verze morette venivano trasportate in mazzi da 5 pezzi (cd. “sacàre”). Il torsolo delle verze veniva tenuto lungo in fase di raccolta, si praticava un foro nella parte più dura in modo da passare uno spago all’interno del torsolo stesso e poter legare più verze assieme. In tal modo la “verza moretta” era facilmente trasportabile. A partire dal dopoguerra venivano trasportate con camion caricate alla rinfusa per essere vendute in Val d’Aosta e in Germania.
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Il tartufo ha una storia mlto antica. I greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi ), mentre in latino era il tuber, dal verbo tumere (gonfiare). Plinio il Vecchio nel libro della “‘Hystoria Naturale” parlava del tartufo che “sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare”, mentre Plutarco affermava che il “tubero” nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Nell’Europa del passato, il tartufo era anche chiamato “aglio del ricco” per il suo leggero sentore agliaceo. Anche nel Veneto ci sono delle zone in cui questo tubero cresce spontaneo, una di queste si trova sui Colli Berici e nella zona orientale dei Monti Lessini. Qui, da secoli, questo prodotto è ricercato e apprezzato e rientra in numerose ricette tradizionali come quella dei principi Giovanelli di Lonigo (Vi) del 1890 che propone il piatto “Tartufo alla Berica”.
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Il tartufo è un frutto della terra conosciuto dai tempi più antichi. Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei Sumeri e al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700-1600 a.C. In ogni epoca furono altamente apprezzati dai buongustai a partire dagli antichi Greci; i Romani ne furono ghiottissimi ed Apicio e Giovenale ne cantarono gli elogi e ne dettarono anche metodi per cucinarli. Tra i moderni l’uso di questa prelibata vivanda crebbe sempre in più in onore. Ne andavano ghiotti Rossini e papa Gregorio IV. Sembra che anche Napoleone, nella sua campagna militare a Verona, prima della battaglia d’Arcole, si sia interessato ai tartufi della Lessinia. Anche il Regio Prefetto conte Luigi Sormano Moretti nella sua “Monografi a della provincia di Verona” (Firenze 1904) nomina i tartufi del veronese.
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Il susino è un albero da frutto (Prunus domestica) della famiglia Rosacee, proveniente dal sud-est europeo e dall’Asia occidentale coltivata fin dai tempi più lontani, era noto ai Latini dal I secolo. È ampiamente coltivato in quasi tutte le regioni a clima temperato. La “succhetta” di Lio Piccolo era coltivata ed apprezzata dai veneziani all’epoca della Serenissima. L’alluvione del 1966 ha praticamente distrutto tutti gli impianti frutticoli che non sono stati rinnovati. Rari impianti nuovi e piante sparse di interesse prevalentemente familiare, sopravvivono in qualche piccolo frutteto.
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È doveroso ricordare questo prodotto con quanto riportato dal celebre poeta dialettale veronese Berto Barbarani (1872 – 1945), che ha scritto una ricetta su come impiegare il sedano rapa: “Si prende una testa di sedano-rapa piuttosto grossa. Si monda bene e si taglia a fette dello spessore di uno scudo di vecchio conio. Per ogni due di queste s’insinua una fetta di prosciutto cotto e si salda con filo. Così preparate si adagiano nel tegame su di un soffritto di burro e cipolla che abbia già preso il biondore, e dopo averle ben rosolate si unisce sugo di pomodoro, mezzo bicchiere di Marsala vecchio, mezzo cucchiaio di farina. Giunto il tutto a lenta condensazione e cottura, si serve caldo con buon parmigiano abbondante”. Sono molteplici gli usi culinari di questo ortaggio: crudo si presta per squisite insalate, cotto può essere fatto ai ferri, o semplicemente bollito, ma anche per creare ottime minestre o puree.
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Nella zona di Chioggia quella del sedano è stata la prima coltura massicciamente impostasi nell’orticoltura locale. Ciò si è verificato tra gli anni ’50 e ’60, precedendo lo sviluppo della carota e del radicchio. Le linee produttive allora erano “aziendali”; ogni famiglia produceva il seme e si distingueva, o almeno tentava di farlo, per particolari caratteristiche merceologiche (volume del cespo, compattezza, colore…). Questo determinava un costante miglioramento dell’offerta complessiva della zona tipica. Per comprendere l’importanza che allora aveva il sedano nell’orticoltura della zona basti pensare che i dati statistici del Mercato Ortofrutticolo di Chioggia nell’anno 1975, nel riepilogo annuale, riportano un conferimento di ben 8.243 tonnellate di prodotto! Ben superiore, per intenderci, alla quantità di patate e cipolle allora commercializzata.
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Rubbio si trova sulla strada che da Bassano sale all’Altopiano di Asiago: un minuscolo paese a 1057 metri s.l.m., di soli 300 abitanti, dove uno dei fiori all’occhiello della piccola comunità è la coltivazione del sedano, che viene praticata con successo dai primi del ‘900, grazie alla tipicità del suolo e al clima, che alterna ai rigori invernali estati asciutte e ventilate. In un articolo apparso su “Il Giornale di Vicenza” qualche anno fa, si leggeva “Gerla piena di sedano sulle spalle, uomini e donne di Rubbio da secoli scendevano a vendere la loro specialità a Breganze, Thiene, Marostica e Bassano. La fama dell’ortaggio era forte ma geograficamente compressa. Ci fu chi pensò, in occasione della trasferta a Vicenza per la festa della “Madona dei Oto” (l’8 settembre, festa della Natività della Vergine) di portarsi appresso anche del sedano da vendere, unendo così l’utile al dilettevole. La trovata si rivelò una cassa di risonanza formidabile e il sedano di Rubbio non conobbe più confini”. L’8 settembre, quindi, è diventata naturalmente anche la data della “Sagra del Sedano”, una delle manifestazioni più antiche dell’altopiano dei 7 Comuni, un appuntamento che abbina aspetti religiosi al divertimento e alla valorizzazione dei prodotti locali.
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La scarola è una varietà di insalata originaria delle zone temperate dell’Europa. Apprezzata fin dall’antichità per le sue proprietà toniche, depurative e diuretiche, ha trovato nel territorio attorno a Bassano del Grappa dei terreni adatti alla sua coltivazione che vanta una tradizione centenaria; il microclima mite e ventilato della zona e i terreni dotati di buona permeabilità e presenza di sostanza organica hanno favorito la coltura di questo ortaggio a ciclo precoce.
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