I biscotti veneziani per eccellenza sono i “baicoli” che creati due secoli fa, nelle offellerie e panetterie per le botteghe del caffè, sono ancora oggi tra i biscotti più delicati e saporiti. I “baicoli” veneziani sono molto considerati anche dai turisti stranieri i quali spesso si ricordano della loro bontà e li richiedono a distanza di anni”. Da “Il Veneto in cucina” di Ranieri Da Mosto, Giunti Martello Editore, 1978. Nelle Venezia del settecento era di moda servire questi biscotti con lo zabaione, inoltre questo famosissimo dolce secco da “tociar” (intingere) era adatto ad essere conservato facilmente anche durante i lunghi viaggi dei veneziani commercianti in mare. Il nome “baicolo” è stato dato a questo biscotto per la sua forma molto simile a quella dei piccoli branzini di laguna che portano, appunto, questo nome.
View More Biscotti baicoli PAT del VENETOTag: Prodotto agroalimentare tradizionale
Bigoi PAT del VENETO
I “bigoi” sono probabilmente la pasta più tradizionale del Veneto, un prodotto di origine contadina in uso fin dai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia. La leggenda vuole che nel 1604 un pastaio di Padova, detto “Abbondanza”, venne autorizzato dall’allora Consiglio del Comune a godere del brevetto di un macchinario per lavorare la pasta, usando frumento padovano. Il signor Abbondanza riuscì a produrre con questo macchinario anche vermicelli ed altri tipi di pasta lunga. La predilezione dei padovani cadde sui “bigoli” una sorta di spaghettoni, tutti tondi, divenuti appunto la pasta tipica veneta. Da oltre trent’anni si svolge a Zanè (VI), la sagra dei “bigoi co l’arna” cioè bigoli con il sugo d’anitra. Esiste anche la variante “bigoi neri” prodotta nel comune di Mogliano Veneto (Treviso)
View More Bigoi PAT del VENETOBanana comune PAT del VENETO
Tipo di pane risalente all’immediato dopoguerra, quando il consumatore, stanco della classica pagnotta del periodo bellico, pretese forme di pane di singola porzione alle quali vennero dati nomi di fantasia a tutt’oggi utilizzati.
View More Banana comune PAT del VENETOAmarettoni di Sant’ Antonio PAT del VENETO
Gli “amarettoni” di S. Antonio sono biscotti che derivano dalla ricetta del “dolce del Santo”, confezionati inizialmente come semplice amaretto, sono stati successivamente modificati e sono molto apprezzati soprattutto dai pellegrini che passano ogni anno per la Basilica, richiedendoli nei punti vendita della stessa. Proprio per questo motivo hanno assunto col tempo una certa aura di culto popolare.
View More Amarettoni di Sant’ Antonio PAT del VENETOZucca santa bellunese PAT Veneto
La coltivazione delle zucche nella Val Belluna ha caratterizzato, almeno negli ultimi due secoli, l’economia domestica delle famiglie contadine. Stimolo alla coltura della zucca era l’allevamento del maiale, per il quale le cucurbitacee costituivano un alimento eccellente. Infatti la sua coltivazione si diffuse nel corso del XIX secolo proprio a seguito di un incremento dell’allevamento del maiale, reso possibile dall’introduzione e diffusione della patata all’inizio del secolo. Nell’alimentazione umana aveva dunque un ruolo abbastanza secondario. Era comunque abitudine coltivarla in consociazione con il granoturco, seminata all’interno del campo oppure, un po’ più razionalmente, veniva coltivata ai bordi del campo. Se l’alimentazione animale era il destino prevalente, la zucca trovò impiego anche nell’alimentazione umana e in forma minore per ricavarvi qualche oggetto, ciotole e soprattutto borracce. A conferma della forte tradizione e interesse per la “zucca santa” in taluni comuni bellunesi e, nello specifico, nella frazione di Caorera del comune di Vas, sono organizzate feste paesane dedicate alla cucurbitacea.
View More Zucca santa bellunese PAT VenetoZucca marina di Chioggia PAT Veneto
La diffusione della coltivazione di diverse varietà di zucche sul territorio nazionale è dovuta alla notevole adattabilità e rusticità di questa orticola. Il Veneto è una delle regioni italiane dove l’ortaggio si è meglio acclimatato ed è coltivato in maniera intensiva per un consumo abituale. La “zucca marina di Chioggia” grazie alle doti di buona conservabilità del frutto era un ortaggio sempre presente nelle mense più povere nel periodo invernale, quando scarseggiavano altri prodotti dell’orto. È tradizionalmente legato al territorio di Chioggia anche se da sempre è considerato il parente povero tra i pregiati ortaggi della zona.
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Il professor Maccagnan Guerrino, storico di Veronella, evidenzia nel libro dedicato a “Ottavia Fontana. Maestra e Sindaco di Veronella”, pubblicato nel 2010, la presenza nel territorio veronellese di una diffusa coltivazione della “verza moretta” già nell’Ottocento. Lo scrittore descrive così il contesto storico-sociale di quel periodo: “Il lavoro agricolo era senz’altro l’occupazione più diffusa, incentrata soprattutto sulla produzione cerealicola e sulla pratica della bachicoltura, della viticoltura, della frutticoltura e della tabacchicoltura. (…) Nel contesto produttivo si collocavano anche i mercati, tra cui godeva una certa rinomanza quello delle verze (morette veronesi) di Veronella, da dove partivano per essere esportate nelle città del Veneto e perfino in Val d’Aosta”. Fino al 1920 le verze morette venivano trasportate in mazzi da 5 pezzi (cd. “sacàre”). Il torsolo delle verze veniva tenuto lungo in fase di raccolta, si praticava un foro nella parte più dura in modo da passare uno spago all’interno del torsolo stesso e poter legare più verze assieme. In tal modo la “verza moretta” era facilmente trasportabile. A partire dal dopoguerra venivano trasportate con camion caricate alla rinfusa per essere vendute in Val d’Aosta e in Germania.
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Il tartufo ha una storia mlto antica. I greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi ), mentre in latino era il tuber, dal verbo tumere (gonfiare). Plinio il Vecchio nel libro della “‘Hystoria Naturale” parlava del tartufo che “sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare”, mentre Plutarco affermava che il “tubero” nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Nell’Europa del passato, il tartufo era anche chiamato “aglio del ricco” per il suo leggero sentore agliaceo. Anche nel Veneto ci sono delle zone in cui questo tubero cresce spontaneo, una di queste si trova sui Colli Berici e nella zona orientale dei Monti Lessini. Qui, da secoli, questo prodotto è ricercato e apprezzato e rientra in numerose ricette tradizionali come quella dei principi Giovanelli di Lonigo (Vi) del 1890 che propone il piatto “Tartufo alla Berica”.
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Il tartufo è un frutto della terra conosciuto dai tempi più antichi. Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei Sumeri e al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700-1600 a.C. In ogni epoca furono altamente apprezzati dai buongustai a partire dagli antichi Greci; i Romani ne furono ghiottissimi ed Apicio e Giovenale ne cantarono gli elogi e ne dettarono anche metodi per cucinarli. Tra i moderni l’uso di questa prelibata vivanda crebbe sempre in più in onore. Ne andavano ghiotti Rossini e papa Gregorio IV. Sembra che anche Napoleone, nella sua campagna militare a Verona, prima della battaglia d’Arcole, si sia interessato ai tartufi della Lessinia. Anche il Regio Prefetto conte Luigi Sormano Moretti nella sua “Monografi a della provincia di Verona” (Firenze 1904) nomina i tartufi del veronese.
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Il susino è un albero da frutto (Prunus domestica) della famiglia Rosacee, proveniente dal sud-est europeo e dall’Asia occidentale coltivata fin dai tempi più lontani, era noto ai Latini dal I secolo. È ampiamente coltivato in quasi tutte le regioni a clima temperato. La “succhetta” di Lio Piccolo era coltivata ed apprezzata dai veneziani all’epoca della Serenissima. L’alluvione del 1966 ha praticamente distrutto tutti gli impianti frutticoli che non sono stati rinnovati. Rari impianti nuovi e piante sparse di interesse prevalentemente familiare, sopravvivono in qualche piccolo frutteto.
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