La coltivazione della pianta del pomodoro fu introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa. Non è ben chiaro come e dove, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso, oppure affamato, contadino, ma resta il fatto che già dal XVII secolo si hanno le prime notizie sull’uso alimentare di questo ortaggio. Il pomodoro è presente nel litorale del Cavallino da alcuni secoli, anche se un tempo era prevalentemente coltivato, dai mezzadri e dai coloni, per l’autoconsumo o come particolarità gastronomica per i nobili veneziani proprietari dei terreni. Fu però a seguito dell’alluvione del 1966, causa principale dell’estinzione delle colture da frutto ed in particolare del pesco, che il pomodoro divenne il protagonista dell’agricoltura locale; divenuto per la precocità della produzione e il gusto particolarmente gradevole conosciuto e apprezzato nei maggiori mercati del nord Italia.
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Pòm prussian PAT Veneto
La tradizione orale è concorde nell’indicare in un gruppo di minatori, costretti ad abbandonare la Prussia in una tarda primavera di fine Ottocento, gli artefici dell’introduzione della mela prussiana a Faller; al loro rientro i minatori portarono le marze di alcune piante da frutto, probabilmente attratti dalle dimensioni e dal colore di quelle varietà forestiere, che si affiancarono a quelle già presenti nella zona. Poiché era il primo tentativo di impianto, per sicurezza l’esperimento fu iniziato sulle alture più basse di Faller, attorno ai 500 m s.l.m., nella località Terna; da qui la mela si propagò su tutto l’altipiano sovramontino, dove tutt’ora è possibile vedere le piante più antiche nelle località di Faller: nella Vandelle, a Terna, a Noaia, a Col Maor a Fudere e nelle Cesure.
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Non si hanno notizie precise sull’origine di questo legume, che probabilmente proviene dall’Asia centrale. Venne citato da vari studiosi greci e romani. Proprio quest’ultimi conoscevano e coltivavano due diverse varietà del legume. Attualmente l’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali di piselli. Il “pisello di Borso del Grappa” era conosciuto fin dai tempi della Serenissima Repubblica Veneta, quando veniva offerto con il riso al Doge in occasione della festa di San Marco. Anche nel “Trattato della Natura de’ cibi” di Baldassarre Pisanelli del 1659 si trovano riferimenti ad un pisello particolarmente dolce proveniente dalla zona di Borso. Altri documenti disponibili attestano che il pisello veniva coltivato a Borso sin dal 1800. La maggiore manifestazione che oggi vede protagonista il prodotto è “La mostra del mercato del Biso” che si svolge a Borso del Grappa durante il mese di giugno.
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La pesca veniva citata dai greci e dai latini come il frutto di Persia, la cui introduzione nell’area ellenica si faceva risalire ai tempi di Alessandro Magno il quale, di ritorno dalle sue campagne asiatiche, portò in patria alcune piante di pesco. In realtà questo albero proveniva dalla lontana Cina, dove era noto fin dal 2000 a.C.; prezioso frutto dell’albero del giardino dell’Eden, è appunto per i cinesi, simbolo dell’immortalità. Nei secoli successivi la coltura di questo frutto si estese a tutta l’area mediterranea e in Italia trovò terreni appropriati in diverse zone della penisola. Anche in provincia di Treviso esiste una zona in cui le particolari condizioni pedoclimatiche hanno permesso a questa coltivazione di svilupparsi e specializzarsi, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo. Verso la fine di luglio si svolge la mostra mercato delle pesche a Villorba e la Festa delle pesche a Santandrà.
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Il pesco a pasta bianca è presenza storica consolidata nel territorio di Cavallino e Jesolo, la cui sorte si è però strettamente legata all’alluvione del 1966 che ne ha causato un forte ridimensionamento produttivo. In realtà la moria del pesco, causata da asfissia radicale, era già in atto in forma strisciante per l’innalzamento della falda freatica, già evidente a partire dalle seconda metà degli anni cinquanta. Inoltre le tradizionali varietà nazionali incontravano, in quel periodo, notevoli difficoltà di mercato con l’introduzione delle nuove, più produttive e meglio conservabili, varietà di origine americana.
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La presenza di piante di pero nella provincia veronese è ampiamente riportata nella “Monografia della provincia di Verona” del Regio Prefetto conte Luigi Sormano Moretti (Firenze 1904) in cui si fa un’ampia disamina delle varietà coltivate in quel periodo, sottolineando il carattere promiscuo della coltivazione. Dopo la Seconda guerra mondiale, tra il 1947 e il 1956, la situazione degli impianti di pero nel veronese era limitata a circa 258 ettari a coltura specializzata e quella promiscua a 1.040 (Bargioni G., 1959). “È interessante far notare che la coltura promiscua di pero nel veronese era costituita da impianti con filari regolari, più o meno distanziati in modo da poter effettuare fra essi, abbastanza agevolmente, anche coltivazioni erbacee.
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La coltivazione del pero nella Venezia orientale viene introdotta massicciamente negli anni tra il 1920 e il 1930. L’innovazione e la diversificazione produttiva verso la frutticoltura è allora guidata dalle grandi aziende dell’epoca originate dalla bonifica degli inizi del secolo. Iniziatori di una realtà ancora oggi vitale ed economicamente interessante furono i conti Frova e poco dopo i conti Marzotto nelle Valli Zignago. Nelle statistiche ufficiali degli anni cinquanta nella provincia di Venezia già si indicavano circa 750 ettari investiti nella coltura del pero. Le varietà coltivate erano in parte molto diverse da quelle attuali (basti pensare che forte era la presenza di “Passacrassana”) ma ciò dimostra comunque la tradizione e la consistenza della coltura nella zona.
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Il pero (Pyrus communis) è una pianta spontanea, originaria dei boschi europei, coltivata in un gran numero di varietà da tempo immemore e diffusa oramai in tutti i continenti. La zona del medio Adige costituisce una fra le più rinomate ed antiche aree dedite alla coltivazione del melo e del pero, tradizionale fornitrice delle mense della Serenissima Repubblica di Venezia.
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Il peperone è un ortaggio proveniente dall’America del Sud che ha fatto la sua comparsa sulle tavole europee nel XVI secolo. Secondo alcuni studiosi il centro di partenza della diffusione di questo vegetale è il Brasile, secondo altri la Giamaica. La coltivazione di questa pianta, delle numerosissime varietà, è largamente diffusa a livello mondiale, mentre la superficie dedicata alla sua coltivazione in Italia si sta progressivamente riducendo. A Zero Branco la coltura del peperone ha origini antiche ed è favorita dalla particolarità delle condizioni climatiche.
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La “patata di Rotzo” ha un’antica tradizione agricola, data dal fatto che il tubero ha trovato nei prati, boschi e nel clima della zona un contesto ambientale ideale per esaltarne le qualità organolettiche. La prima testimonianza documentale che attesta della coltivazione del tubero nella zona di Rotzo risale alla fine del 1700, nel volume “Memorie storiche dei Sette Comuni Vicentini” scritto dall’abate Agostino Dal Pozzo ed edito dal Comune di Rotzo nel 1820. L’antica varietà non è più coltivata, ma la produzione odierna è ancora molto apprezzata. La proverbiale bontà di queste patate di montagna deriva da un concorso di elementi ambientali: suolo di struttura ideale; inverni rigidi che neutralizzano molte malattie; estati fresche e asciutte, che favoriscono al meglio la fruttificazione. La maggiore concentrazione di amidi che ne deriva contribuisce a dare al prodotto qualità uniche e inconfondibili.
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