Giuggiolo del Cavallino PAT Veneto

Originario della Cina e dell’Asia centrale, il giuggiolo è stato introdotto dai romani nel bacino del Mediterraneo, nell’Italia meridionale e centrale al tempo dell’imperatore Augusto. È citato negli scritti di Plinio e Columella. Nella laguna veneta si diffonde grazie ai mercanti veneziani, nell’epoca del massimo splendore della Serenissima Repubblica quando erano molto attivi gli scambi con l’Oriente. Negli atti del catasto austriaco del 1826, conservati nell’Archivio di Stato di Venezia, si trovano testimonianze documentali della presenza di quest’albero nella gronda lagunare. Originariamente presente come curiosità ornamentale, si è diffuso spontaneamente come pianta colonizzatrice in talune isole non abitate; nei luoghi coltivati è stato invece oggetto di cura, non solo per la produzione dei frutti ma anche con funzione di naturale frangivento e per ombreggiare le orticole più delicate nei periodi più caldi.

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Giuggiola dei Colli Euganei PAT Veneto

Il giuggiolo è un piccolo albero (4-6- metri), originario della Cina meridionale da dove si è diffuso in tutti i paesi subtropicali, e nel bacino del Mediterraneo. In Italia è presente fin dall’epoca romana. Nel Veneto è pianta caratteristica dei colli Euganei dove ha trovato un habitat ideale nei pendii esposti al sole. I frutti appartengono alla tradizione contadina della zona: un tempo venivano conservati per l’inverno e consumati principalmente dalle donne a “filò”. Nelle lunghe veglie invernali di stallo, le filatrici abbisognavano di continua saliva per umettare le dita e tirare il filo da avvolgere e una giuggiola in bocca serviva allo scopo.

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Germoglio di radicchio bianco nostrano di Bassano PAT Veneto

Il germoglio di radicchio bianco nostrano è coltivato nel territorio bassanese dall’ottocento e sembra derivare da una selezione della varietà “variegato di Castelfranco”, attuata dagli agricoltori bassanesi. La coltivazione del “radicchio bianco di Bassano” è favorita dal microclima mite, ventilato e non umido caratteristico della zona, che ostacola la formazione di muffe e di marcescenze, privo dei picchi di freddo e delle gelate non seguite da un disgelo diurno che interessano, invece, la pianura.

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Funghi di Costozza, sbrìse. PAT Veneto

La coltivazione dei funghi è una attività agricola relativamente giovane. I primi esempi di realizzazione di coltura in grotta si ebbero a Vicenza, nelle grotte di Costozza, nelle quali già naturalmente esistevano le condizioni climatiche di temperatura ed umidità per lo sviluppo dei funghi. Alla fine degli anni ‘50 le prime “fungaie” o “case dei funghi”, fecero la loro apparizione e ci fu subito un salto di qualità con l’imposizione del cosiddetto “Sistema Americano”: prevede l’uso di ripiani fissi sovrapposti in cui viene sistemato il substrato per la coltivazione. Nel libro “Bere e magiare nel Vicentino” si legge: “Fu merito di Giulio Da Schio se dal 1912 queste colture sono diventate una realtà e se ancora oggi vantano rinomanza nel Vicentino, superando indenni la guerra e le innovazioni tecnologiche (le grotte durante la seconda guerra mondiale furono requisite per uso bellico). Negli anni ’50 la passione del Conte Alvise Da Schio fece tornare nelle antiche grotte quei funghi bianchi, saporiti e deliziosi.”

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Funghi coltivati del Montello PAT Veneto

La fragola era conosciuta e apprezzata fin da tempi antichissimi. Sembra che in Italia crescesse spontanea già due secoli prima Cristo. Secondo testimonianze depositate presso l’Archivio di Stato di Verona, datate 1796, la fragola era presente negli orti cittadini veronesi ancor prima del XVII secolo. La tradizione produttiva e il successo sui mercati locali della fragola è ben descritta da A. Balladoro nel suo volume sul “Folklore Veronese” del 1897. Anche il Sormano Moretti nella monografia “La provincia di Verona” del 1904 (vol. II, p. 46), ricorda che le fragole “cominciansi a cogliere in fin di maggio e di cui, oltre alle piccole montanine (…) diverse più grosse e pregiate specie se ne coltiva negli orti e nei fragoleti delle ville prossime alla città dove trapiantansi dal marzo alla fine di aprile oppure è meglio forse, dal settembre all’ottobre, riuscendo dovunque, ma di preferenza nelle terre sciolte e profonde”.

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Fragola di Verona PAT Veneto

La fragola era conosciuta e apprezzata fin da tempi antichissimi. Sembra che in Italia crescesse spontanea già due secoli prima Cristo. Secondo testimonianze depositate presso l’Archivio di Stato di Verona, datate 1796, la fragola era presente negli orti cittadini veronesi ancor prima del XVII secolo. La tradizione produttiva e il successo sui mercati locali della fragola è ben descritta da A. Balladoro nel suo volume sul “Folklore Veronese” del 1897. Anche il Sormano Moretti nella monografia “La provincia di Verona” del 1904 (vol. II, p. 46), ricorda che le fragole “cominciansi a cogliere in fin di maggio e di cui, oltre alle piccole montanine (…) diverse più grosse e pregiate specie se ne coltiva negli orti e nei fragoleti delle ville prossime alla città dove trapiantansi dal marzo alla fine di aprile oppure è meglio forse, dal settembre all’ottobre, riuscendo dovunque, ma di preferenza nelle terre sciolte e profonde”.

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Fragole delle Dolomiti bellunesi PAT Veneto

Le fragole hanno da sempre suscitato l’interesse del contadino e del montanaro che, potendone disporre senza sforzo o impegno per la loro coltivazione in quanto specie spontanee, ha imparato a servirsene. Il suo consumo è testimoniato nell’area dolomitica bellunese da innumerevoli ricette per la produzione soprattutto di dolci, torte, crostate, succhi e confetture.

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Fave bellunesi PAT Veneto

La coltivazione delle fave nell’area dolomitica bellunese ed il suo utilizzo, sottoforma di prodotto decorticato, vantano una salda e comprovata tradizione secolare. Numerose sono le citazioni in testi, libri e riviste sia dal punto di vista storico che culinario ed altrettanto importante è la documentazione fotografica e la ricerca etno-botanica. Merita di essere citato il quaderno numero 5 -“Fava, patata, fagiolo, papavero: sistemi e tecniche tradizionali di coltivazione e di utilizzazione nel bellunese” a cura di Daniela Perco (Comunità Montana Feltrina e Centro per la Documentazione della coltura popolare). In esso sono riportate, in appositi capitoli, decine di citazioni di storici e interviste, che testimoniano la presenza secolare della coltivazione della fava nel bellunese. Di recente, alcuni produttori attenti alle tradizioni stanno riproponendo la coltivazione di questa speciale e caratteristica leguminosa.

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Fasola posenata PAT Veneto

La presenza e la tipicità della “fasola posenata” è testimoniata dalle voci e dalle cure di persone anziane che ne tramandano la sua coltivazione da numerose generazioni. I fagioli nella zona di Posina, infatti, sono coltivati da secoli per l’autoconsumo familiare e hanno sempre mantenuto un’importanza non secondaria nell’economia domestica e nell’alimentazione degli abitanti della zona. Anche la pianta trova una sua utilità in quanto, avendo un fiore rosso intenso, ancora oggi viene posta intorno alle altre colture per spaventare eventuali animali, soprattutto caprioli (anche il gusto delle foglie contribuiva in questo senso). La “fasola posenata” tiene molto bene la cottura e non si disfa. Si mangia spesso in insalata con aglio, prezzemolo e olio ma si adatta ad accompagnare magnificamente il riso e le tagliatelle fatte in casa.

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Fasol de Lago PAT Veneto

Il fagiolo ha sempre avuto un ruolo importante nell’alimentazione. I fagioli d’America furono importati in Europa dagli spagnoli e i loro semi furono donati da papa Clemente VII ad un umanista bellunese, Piero Valeriano (pseudonimo di Giovanni Pietro Dalle Fosse 1477-1558) affinché ne diffondesse la coltura. Il Valeriano avviò, a quanto pare tra il 1528-29, la coltivazione nel bellunese (e in particolare a Lamon e nel Feltrino) da dove si diffuse in tutto il Veneto incrociandosi senz’altro anche con le specie già presenti formando quelle specie “autoctone”.

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