Prodotto Agroalimentare Tradizionale del LAZIO
Tartufo spontaneo autoctono appartenente a diverse varietà: Tuber brumale, Tuber muschatum (moscato), Tuber albidum (bianchetto o marzuolo), Tuber melosporum (nero pregiato invernale) Tuber uncinatum (uncinato). Nasce nei pressi delle radici di leccio, faggio, quercia e rovella su terreni calcarei, ferrosi (di colore rossiccio) che gli conferiscono un profumo molto intenso.
La forma, il colore interno ed esterno, le dimensioni, il sapore e l’odore sono differenti a seconda della varietà. Il colore sia interno che esterno dei Tartufi dei Monti Lepini è un elemento distintivo: il brumale presenta colore della corteccia rosso scuro che diventa nera a maturazione mentre all’interno (gleba) il colore è grigio-nerastro con venature bianche; il moscato ha colore della gleba scuro con larghe venature bianche; il bianchetto o marzuolo presenta colore esterno biancastro, nei giovani esemplari, che può, però, diventare grigio tendente anche al fulvo, il colore interno è fulvo-rossastro con venature bianche o rossastre; il nero pregiato invernale ha colore esterno bruno-nerastro con macchie di colore ruggine e colore interno nerastro con venature biancastro-nocciola; l’uncinato presenta colore esterno nero e colore interno nocciola. La raccolta va da gennaio a marzo per il Tuber brumale; da febbraio a marzo per il Tuber muschatum ed il Tuber albidum; da maggio a settembre per il Tuber aestivum; da novembre fino al mese di marzo per il Tuber melosporum.
METODO DI PRODUZIONE
La tecnica di raccolta prevede l’impiego di cani addestrati, quindi lo scavo manuale, la chiusura della buca con la sola terra di risulta, in modo tale che non possa entrare altro materiale (la decomposizione di foglie, rametti, ecc. può provocare la perdita della tartufaia). La raccolta non deve avvenire quando il terreno è ghiacciato per non compromettere la formazione dei nuovi tartufi.
CENNI STORICI
La raccolta del Tartufo dei Monti Lepini viene effettuata da molti anni sia da raccoglitori professionisti che amatoriali. Alcune informazioni storiche si possono attingere dagli Annali del cardinale Pietro Aldobrandini, della fine del XVI secolo, e da documenti archiviati presso il comune di Carpineto Romano in cui si fa riferimento ai pranzi, le cui pietanze erano proprio a base di tartufo raccolto sul posto. Il nero di Carpineto Romano dicono che sia uno dei tartufi più profumati d’Europa. Ne era convinto persino Domenico Bigioni, presidente della Federazione europea tartufai. I Monti Lepini ne sono stati sempre territorio elettivo anche se soltanto negli ultimi anni si è incominciato a raccoglierli e valorizzarli.
Lo sapevano bene i cercatori dell’Umbria che negli anni ’70 saccheggiavano letteralmente i boschi del comprensorio spacciandoli come tartufi di Norcia. Le popolazioni lepine, invece, hanno impiegato trent’anni per capire il loro valore e soltanto da poco hanno incominciato a raccoglierli e commercializzarli. Il Tartufo dei Monti Lepini non ha un bell’aspetto ma, sotto la rude scorza, “cela prelibatezze sorprendenti quando viene manipolato da mani esperte e viene accompagnato da essenziali e semplicissimi ingredienti”. Nei sontuosi banchetti del cardinale Pietro Aldobrandini, padrone dell’allora ducato di Carpineto, accudito da Donna Olimpia, sua sorella, il “tartufolo grattato, a fettoline, sotto la bragia” non mancava mai. Oggi i ristoratori del posto lo utilizzano nella preparazione di nuove e vecchie ricette. Spesso con il tartufo arricchiscono i funghi porcini. Una miscela afrodisiaca, capace di “risvegliare anche i sensi più restii” sosteneva Vincenzo Corrado nel suo “Cuoco Galante” del 1773.
Territorio di produzione
Provincia di Frosinone: Campoli Appennino, Vico nel Lazio