Prodotto Agroalimentare Tradizionale dell’ Emilia Romagna
tuber aestivum, trifula negra, scorzone
Forma per lo più rotondeggiante, dimensione varia, ha peridio o scorza nera molto grossolana e polpa dal giallastro al bronzo, con velature chiare, numerose, arborescenti che compaiono dopo la cottura. L’odore è delicato e gradevole, ricorda le nocciole. Predilige terreni calcarei, vive in simbiosi con numerose specie forestali (querce, pini, faggi, frassini, carpini, noccioli,…). Matura da giugno a fine agosto. La tartufaia coltivata viene costituita “ex novo” in un’area dove non vi sono piante che producono naturalmente tartufi. Le prime produzioni si hanno a 10-12 anni dall’impianto. Per la raccolta è indispensabile l’ausilio di cani particolarmente addestrati.
Tradizionalità
Le prime notizie botaniche sui tartufi si trovano nella “Historia plantarum” di Teofrasto autore greco del IV secolo A.C., considerato il padre della botanica: li descrive come funghi, piante imperfette prive di radici, foglie fiori e frutti, li denomina “hydnon”. Successivamente Plinio il Vecchio (I secolo D.C.) nella “Historia Naturalis” li distingue dai funghi senza tuttavia riuscire a definirli con esattezza.
Territorio di produzione
Zone collinari e pedecollinari dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, in particolare le provincie di Piacenza e Rimini.