Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Puglia
Doraca, Uva drech, Imperatore, Lattuaria, Lattuario, Roscio, Sacra, Sagrone, Turca, Turchiesca, Uva di cera, Uva rosa
Acini croccanti, di colore bianco-giallo perlato trasparente, dalla buccia sottilissima e di grandezza variabile tra 1 cm ed 1,5 cm di diametro. Di sapore amorevolmente dolce, quando ben matura (da fine agosto fino all’inizio ottobre). E’ l’uva tipica di Bari e dintorni. Dolce e molto fruttata, se ne riconosce la giusta maturazione solo quando il chicco, diventando trasparente, lascia intravedere chiaramente i semini negli acini. In tempi non molto lontani l’uva baresana, per la sua dolcezza, veniva lasciata esiccare sulla pianta (ormai spoglia di foglie), per poi essere raccolta e cotta insieme ai fichi secchi per ricavare il noto ed antico vincotto barese.
Il vitigno presenta un vigore molto elevato e talora eccessivo; precoce nelle fasi fenologiche di germogliamento (25-30 marzo) e fioritura (20-25 maggio), matura solitamente ad inizio settembre in controspalliera, a fine settembre nei tendoni. Il vitigno è capace di grandi produzioni ma è consolidata la tecnica di diradamento dei grappoli per ottenere produzioni qualitativamente apprezzabili. Il grappolo, solitamente conico, è di media grandezza (400-500 g) e giustamente spargolo; l’acino è subovale, con buccia sottile poco pruinosa e pertanto di aspetto traslucido, di colore giallo-cereo o dorato chiaro. Polpa croccante e molto consistente, di sapore particolarmente gradevole. Vinaccioli piccoli, 1-2 per acino. Al raggiungimento di un elevato grado zuccherino sugli acini esposti al sole tende a comparire una caratteristica punteggiatura o rugginosità. L’uva è particolarmente apprezzata e ricercata per le peculiari caratteristiche organolettiche quali dolcezza, eccezionale croccantezza dell’acino e consistenza della polpa, nonché per il colore cereo brillante che a completa maturità può tendere leggermente al rosato. Pur mancando esperienze specifiche nella conservazione post-raccolta, la Baresana, rispetto alle varietà attualmente diffuse ed esportate, presenta una ridotta conservabilità (rapido disseccamento del rachide e perdita di turgore delle bacche) e conseguentemente scarsa attitudine al trasporto su lunghe tratte. Per questi motivi l’uva baresana resta più adatta ad un consumo locale e nazionale.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Nel periodo invernale si effettua la potatura dei tralci dell’anno precedente, la sistemazione e la legatura dei capi a frutto, l’allontanamento e la bruciatura dei tralci potati. A differenza delle uve da tavola convenzionali, la Baresana non necessita di ingenti concimazioni, né di profonde lavorazioni del terreno, anche per evitare un maggiore vigore vegetativo. Viene prodotta in diverse forme di allevamento: l’antico alberello pugliese (aree marginali della premurgia), la controspalliera (nel nord-barese) e il tendone (Adelfia). In primavera si esegue la legatura e la sistemazione della nuova vegetazione e delle infiorescenze, il diradamento dei grappoli, l’eliminazione delle foglie poste nelle vicinanze dei grappoli (allo scopo di mantenere arieggiati il più possibile i grappoli), mentre non è strettamente necessaria l’acinellatura (eliminazione dai grappoli degli acini piccoli che vengono denominati ‘corallini’) perché così il prodotto è presentato e conosciuto sul mercato locale. Nei mesi estivi e soprattutto autunnali, si effettua la pulitura del grappolo pochi giorni prima della raccolta allo scopo di eliminare gli acini non sani. L’irrigazione è necessaria per conservare la turgidità dei frutti durante la stagione estiva. La raccolta avviene, a seconda della forma di allevamento e delle modalità di copertura del tendone, da agosto a novembre.
TRADIZIONALITÀ
Il nome Baresana, introdotto con lungimiranza alla fine del 1800 dai piccoli agricoltori per unificare in funzione commerciale la miriade di nomi locali (ad Adelfia Duraca, ad Acquaviva delle Fonti Lattuario, altrove Sacra, Roscio, Imperatore, Turca, ecc.), può essere considerato un antesignano dei marchi di origine: “Baresana, ovvero di origine “barese”. Infatti, se è vero che la più antica citazione del nome Baresana risale al 1892 (A. Fonseca), nei bollettini ampelografici pubblicati dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio sono invece citati o descritti quelli che oggi sono i suoi sinonimi: l’Uva Turca, l’Uva sacra, la Lattuaria (G. Frojo, 1875; D. Frojo, 1879). Nel 1887 il conte De Rovasenda cita l’Uva Turca o Turchesca o Uva Rosa.
La prima descrizione ampelografica è del prof. F.A. Sannino, direttore della Scuola Enologica di Alba, che nel 1891 descrive il vitigno con il nome di Doraca sulla rivista “L’Italia Enologica”. E’ possibile dire che il nome Baresana si affermò agli inizi del 1900, conseguentemente all’incremento della coltivazione di uva da tavola in Puglia ed in particolare nella provincia di Bari. A confermare tale ipotesi, nel 1914, il prof. G. Briganti della Scuola di Agricoltura di Portici, in un articolo sulla rivista Italia Agricola: “In quasi tutta la provincia di Bari questo vitigno è allevato ad alberello pugliese, senza sostegno, a due branche, ciascuna con uno sperone di due gemme. Per il suo grande vigore si presta bene anche ad alberello a vaso, che consente una più abbondante fruttificazione”.
Nel 1930 la Commissione Nazionale Fascista degli Agricoltori (C.N.F.A.), per porre un freno all’esagerata corsa verso nuove varietà, spesso dovuta a confusione ampelografica, dedica un’opera alle migliori varietà di uva da tavola italiane riservando ampio spazio alla Baresana. Nel 1934 il prof. G. Musci, Direttore del Consorzio Antifillosserico di Bari, pubblica un articolo sul vitigno (speciale uva da tavola – Italia Agricola) in cui, in stile narrativo, traccia i caratteri ampelografici e fornisce dati interessanti sulle produzioni e sui luoghi di coltivazione: “Per chilometri e chilometri è tutta una lieta distesa di ubertosi ed ammirevoli vigneti tempestati di ridenti casette, che a primavera si rivestono di rosei germogli, più tardi di verdi pampini e più tardi ancora di grandi e cerei grappoli, forse i più belli ed i più saporosi d’Italia” che già dalla fine del 1800 fanno della Baresana oggetto di gentile e proficua ambasceria della terra italiana in terra straniera. “I carretti originali giungono dalle campagne vicine e lontane o s’avviano alla stazione, portando i superbi grappoli di Baresana, i tesori più belli della pianta sacra e millenaria, che vegeta rigogliosa sotto il sole sfolgorante e nei terreni tufacei freschi e fertilissimi”.
TERRITORIO
Provincia di Bari
Millaffanti in brodo PAT
Pasta finissima di semola di forma cilindrica, cotta in brodo di gallina.