Prodotto Agroalimentare Tradizionale del LAZIO
Il Pizzutello di Tivoli è un’uva dall’aspetto singolare: la forma dell’acino si presenta arcuata, allungata-ellissoidale, dattiliforme ed incurvata in punta e a forma di cornetto, da cui prende anche il nome di uva Corna. Le dimensioni dell’acino sono medio-grandi (peso variabile tra 4-6 g e calibro tra 14-17mm); la buccia è sottile, poco pruinosa, consistente e di colore prima verdastro poi giallo paglierino carico nel Pizzutello Bianco; molto più spessa, coriacea e di colore rosso-vinoso nel Pizzutello Nero. La polpa, in entrambi i casi, è carnosa, elastica, croccante e zuccherina, quasi incolore, con sapore neutro, gradevole e delicato.
È caratterizzato da una pianta vigorosa, con tronco medio-grosso, branche o ramificazioni primarie di vigore proporzionato al fusto e al proprio numero. Le gemme sono piccole ed allungate mentre i germogli di colore verde con riflessi dorati, sono glabri. La foglia, pentagonale, trilobeta o quinquelobata con seni laterali poco profondi ed aperti nella varietà Bianco, molto più profondi nel Nero, ha una dimensione che varia da medio a piccola, più lunga che larga. Il Pizzutello di Tivoli, sia bianco che nero, è una varietà di uva da tavola iscritta al registro nazionale delle varietà; nel Lazio è considerata una varietà autoctona a rischio di erosione genetica tutelata della L.R. 1 marzo 2000 n. 15.
METODO DI PRODUZIONE
La forma di allevamento è il tendone e/o la pergola. Nel tendone, la vite, durante la fase di produzione, raggiunge un’altezza di circa 1,80-2,00 metri, per poi far dipartire in posizione orizzontale, 3-5 capi a frutto; in questo modo si viene a costituire una copertura continua su tutto il terreno che appoggia su un’impalcatura di pali di sostegno e di numerosi fili di ferro zincato. Nella forma di allevamento a pergola, la vite presenta un fusto verticale dalla cui sommità si dipartono i capi a frutto che vengono sistemati orizzontalmente oppure obliquamente nell’interfilare, poggiando su apposite intelaiature. In particolare, la pergola tivolese, sistema antichissimo del luogo, è una tecnica ancora diffusa nel territorio di Tivoli, caratterizzata da piccoli vigneti – per lo più orti a coltivazione estensiva delle dimensioni di ¼ di ettaro coltivati direttamente dai proprietari; la pergola è di tipo rustico, piuttosto bassa (1,60×2,0-2,50 m da terra). È costituita da un’intelaiatura orizzontale fatta di paletti e di canne, sostenuta da una palatura verticale di forcinotti, a questa saldamente legata. La copertura completa del pergolato richiede dai 5 ai 6 anni.
La potatura invernale viene adottata per le piante in piena produzione avendo cura di lasciare in media 6-8 tralci con 7-10 gemme per tralcio, allo scopo di sfruttare la buona produttività della cultivar. L’irrigazione effettuata per aspersione, sommersione o a goccia, può iniziare in post-allegagione terminare poco prima della raccolta. Nella zona di Tivoli veniva storicamente effettuata la sommersione con l’acqua prelevata dal canale detto “degli ortolani” alimentato dalle acque del fiume Aniene. Si effettuano quattro irrigazioni all’anno, ma nelle annate siccitose gli orti si irrigano fino ad 8-10 volte. Il prodotto viene raccolto e selezionato manualmente. Dopo la raccolta, i grappoli selezionati e recisi vengono delicatamente deposti, con i rachidi a vista, in cassette di legno, plastica o cartone di capacità massima di 10 Kg, trasportati nel centro di raccolta e smistati entro breve tempo (massimo 12 ore), in quanto si ritiene che il prodotto vada consumato esclusivamente fresco per una migliore fruizione della fragranza e delle altre caratteristiche organolettiche.
CENNI STORICI
Si ha ragione di credere che la coltura del Pizzutello a Tivoli fosse già ben nota ai latini, come si rivela dalle opere di Columella e di Plinio, che chiamano queste uve “praelongis dactylis” (Reda, 1952). Alcuni storici individuano nel Pizzutello il vitigno indicato da Plinio nella sua “Naturalis Historia” (Lib. 14, cap.III), come esclusivo della zona di Tivoli e di Pompei. Uve di questo tipo erano anche conosciute e coltivate dagli Arabi durante la loro occupazione della penisola iberica, e a essi si deve il nome di “Kadim Barmak” (tuttora in uso in Marocco), che venne tradotto in lingua spagnola in “Dedos de doncella”, ossia “Dita di fanciulla”.
Secondo lo Zappi, contemporaneo del Cardinale Ippolito d’Este, i “pampini” del Pizzutello, sarebbero stati importati dalla Francia e trapiantati a Tivoli nel secolo XVI dallo stesso Cardinale, allo scopo di ornare ed ombreggiare le terrazze della sua celebre residenza. Anche il Pacifici in “Ippolito II d’Este”, del 1920, afferma che i pergolati ornavano le volte ed i padiglioni della Villa con le squisite uve di Francia. In alcune
memorie del Rinascimento, secondo il Miele, si parla della “Nobile Università degli Ortolani” ed è fatto cenno a questa pregiata specialità tiburtina, come ad una delle migliori produzioni tradizionali locali. Eleonora d’Este, villeggiando in Tivoli, nel 1575, con la sorella Lucrezia, così scriveva alla Corte di Ferrara: “Negli orti della villa di Tivoli vi è abbondanza di Pizzutello, che i paesani chiamano uva corna a motivo della sua forma allungata da sembrare un cornetto piccolissimo.
È molto gustosa al palato e mantiene bene lo stomaco. Ve ne è di due qualità bianca e nera perché credono che fa gli occhi belli”. Il dottor Agostino Cappello, medico di Leone XII dal 1823 al 1829, così scriveva: “Il Pizzutello è un’uva polposa, croccante, di acino allungato, a buccia leggerissima, di color verde pallido, di facile digestione, anche se mangiata in quantità, contiene molta sostanza nutritiva, ond’è che io la prescrivo ai malati, con felici risultati. Se ne trova altrove ma quello di Tivoli è il migliore”. Nel 1845, in occasione della visita di Gregorio XVI alle grandi opere di sistemazione ed utilizzazione dell’Aniene, gli agricoltori tiburtini eressero, in onore del Papa, sul Ponte Gregoriano, un grande arco trionfale interamente rivestito di Pizzutello e di Pergolese. Per l’occasione la gente si intratteneva nelle strade cantando:
Fiore d’Argento / il Papa c’è passato sotto l’Arco / ha detto
Popolo mio mangiate tutto / Fiore d’Ornello / che c’iamo fatto al Papa
pe riverillo / c’iamo fatto l’Arcu de Pezzutello.
A questo avvenimento molti fanno risalire l’origine della Sagra del Pizzutello. In occasione del giubileo episcopale di Leone XIII (1878-1903), Tivoli ofrì al Pontefice una barca decorata con parecchi quintali di Pizzutello. Dal 1950, utilizzando materiale genetico prelevato a Tivoli, la coltivazione di questo prodotto si è difusa in altre zone limitrofe, con ottimi risultati soprattutto nell’Agro Pontino. Infatti, nel 1953 è stata fondata, da una colonia di panteschi trasferita nell’Agro Pontino dopo la II° guerra mondiale, la Cooperativa Agricola Corsira, che sulla base della loro storica tradizione culturale di produttori di uva ad alberello a Pantelleria, introdussero in quegli anni la produzione dell’uva “Pizzutello di Tivoli”, prelevando i tralci direttamente dagli ortolani di Tivoli. Questo ha garantito una reale rivitalizzazione economica di questa coltura, altrimenti destinata all’autoconsumo.
Territorio di produzione
Provincia di Roma e Latina con particolare riferimento all’areale che comprende il territorio di Tivoli, dei Castelli Romani fino ad arrivare nella parte nord della pianura pontina