Villa Garibaldi a Caprera Sassari(SS)

Le Ville Italiane ed i loro Giardini

Giuseppe Garibaldi si stabilì a Caprera in un periodo particolarmente difficile, dopo la morte di Anita, la caduta della Repubblica romana, l’abbandono dei figli, e trovò in quest’ambiente l’atmosfera ideale per gli ultimi ventisei anni della sua vita. Il complesso è situato in un ambiente particolarmente suggestivo per la vicinanza al mare, con la roccia granitica affiorante e la tipica vegetazione mediterranea.

La casa è semplice: bianca, in muratura, con il tetto a terrazza, simile a parecchie delle abitazioni che egli ebbe occasione di vedere nei lunghi anni passati a Montevideo e negli altri luoghi in cui combatté per la libertà dei popoli sudamericani. Garibaldi cominciò a costruirla nel 1856, pochi mesi dopo il suo arrivo a Caprera.

L’anno precedente, con l’eredità lasciatagli dal fratello Felice, aveva deciso di acquistare metà dell’isola. Per qualche tempo, assieme al figlio, che allora aveva sedici anni, dormì in un ovile restaurato. Poi si trasferì in una casetta di legno, conservata ancora oggi, iniziando allo stesso tempo l’edificazione della “Casa Bianca”, completata dopo un anno.

La visita alla Casa Bianca ha inizio dall’atrio, dove sono raccolti fucili, sciabole, baionette, la bandiera nera dei reparti d’assalto e quella uruguaiana. Qui sono anche la cassa da campo e la rete metallica che accompagnò l’eroe nelle campagne di guerra e la carrozzella donata al generale dal Comune di Milano nel 1880. Sulla parete un pregevole ritratto di Giuseppe Garibaldi, eseguito da J. Shotton a bordo del mercantile Commonwealth.

Dall’atrio si passa alla camera da letto, originariamente delle figlie; risaltano un pregevole armadio in radica con cornici fortemente intagliate, la scrivania e la pianola, ricordo dell’amore del generale per la musica; il comodino a fianco del letto fu realizzato personalmente da Garibaldi mentre il letto ortopedico è quello su cui l’eroe trascorse buona parte del tempo negli ultimi anni della sua vita. Sulle pareti, ritratti dei figli e della moglie e sul letto una grande fotografia del matrimonio di Garibaldi nel gennaio del 1882.

Contigua è la camera del figlio Manlio, con gli arredi originali; tra i diversi oggetti spicca il modellino di un veliero col quale Garibaldi insegnava al figlio nomenclature e manovre marinare e, in una teca, una piccola corazza e un elmo regalati a Manlio da un garibaldino. Gli stessi oggetti appaiono in una fotografia ovale sulla parete, indossati dal ragazzo. Un armadio tardosettecentesco rappresenta forse il mobile più pregevole tra quelli presenti nella Casa Bianca e custodisce la divisa di Manlio, tenente di vascello della Marina italiana. La camera attigua è quella di Delia, ricostruita nell’aspetto che probabilmente aveva quando l’abitava la figlia di Garibaldi.

Viene poi la cucina con l’ampio camino di pietra, affiancato dal forno, il lume a petrolio, la pompa dell’acqua, il girarrosto. Il vano successivo è oggi destinato a stanza dei cimeli e vi sono custoditi gli oggetti più personali dell’eroe. A s. del percorso è stato rimontato il tinello della prima casa di Garibaldi, con la credenza appartenente alla madre, il tavolo rotondo, l’angoliera, il divano Luigi Filippo. Alle pareti, due dipinti dai soggetti famosi: Garibaldi e il maggiore Leggero che trasportano Anita morente, copia da Pietro Bouvier (Milano, Museo del Risorgimento), e Don Giovanni Verità, copia eseguita ai primi del Novecento da Vincenzo Stagnani del ritratto dipinto da Silvestro Lega nel 1865 (Milano, Civica Raccolta delle Stampe); sopra il divano è collocato il dipinto con la Fuga di Anita.

Nell’armadio-vetrina i vestiti di Garibaldi: il poncho, il mantello bianco con giustacuore, la camicia rossa. Nelle bacheche, oggetti di varia natura; fra gli altri, la cosiddetta pallottola di Aspromonte (peraltro non è certo se quella autentica sia al Museo del Risorgimento di Torino), l’acciarino donato a Garibaldi da Antonio Meucci in America e alcune candele tricolori fabbricate appunto nella bottega del Meucci. Sul cassettone un plastico in sughero rappresenta la battaglia di Solferino; alle pareti, attestati di nomina a presidente onorario di molte associazioni, tra i quali quello della Società Atea (Venezia, 1879).

Si passa al salotto, stanza da letto di Garibaldi alla data di costruzione dell’edificio: uno scrittoio in noce, un canterano, una specchiera, ai lati due mobili con libri, il camino e, sopra, il ritratto a olio di Rosita, la figlia di quattro anni morta a Montevideo. Risaltano il ritratto del colonnello Venancio Flores, antagonista politico dell’eroe perché fautore di una strategia di pace con l’Argentina, e il ritratto di un garibaldino caduto mentre combatteva per la libertà della Polonia. Il ritratto della madre Rosa Raimondi è una copia della stampa esistente al Museo del Risorgimento di Torino.

Tra i mobili è presente una poltrona in pelle con schienale reclinabile regalata a Garibaldi dalla regina Margherita di Savoia. A s. del percorso si apre la porta in ferro che conduce alla stanza ove l’eroe morì: al centro, sotto una teca, si trova il letto; lo circonda una balaustra donata dalla Società Reduci di Livorno per difenderlo dalla curiosità dei visitatori. Di fronte al camino è un’altra delle carrozzelle. In un’angoliera, l’armadietto dei medicinali con bottigliette contenenti preparati messi insieme dallo stesso generale.

Su un piccolo tavolino è poggiato il reggilenzuolo usato da Garibaldi per isolare la gamba ferita ad Aspromonte. Sopra l’architrave della porta l’orologio di fabbricazione inglese segna l’ora della morte (18.20). Tra i dipinti, quello di maggiore interesse è il ritratto di Giuseppe Garibaldi eseguito dal vero da Saverio Altamura nel 1860.

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