Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Campania
Lo zafferano di Terra di Lavoro e dell’appennino campano si presenta in fili, derivati dall’essiccazione degli stimmi del Crocus sativus. I suoli di Terra di Lavoro, ricchi in elementi minerali derivanti anche dai prodotti delle eruzioni dei vicini vulcani, consentono uno sviluppo notevole delle piante e delle loro parti. Per questo le rese sono buone anche grazie alle dimensioni mediamente più grandi (fino a 4,5 cm) degli stimmi.
Le specifiche analisi di laboratorio attestano contenuti in Safranale, Picrocrocina e Crocina rientranti ampiamente nella I categoria. A garanzia della genuinità del prodotto lo zafferano di Terra di Lavoro e dell’appennino campano viene confezionato esclusivamente in fili, presso laboratori autorizzati al confezionamento, in formati da 0.1g, 0.5g e 1 g. La produzione nell’areale indicato si attesta intorno ai 6 kg di prodotto secco (stime 2018) ed è in costante crescita, sia per l’aumento del numero di produttori, sia per l’aumento delle superfici a coltura.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, condizionamento, stagionatura
Tutte le fasi della produzione si rifanno a metodiche tradizionali anche in conseguenza della necessità di procedere con lavorazioni manuali. Inoltre le fasi di impianto, raccolta, mondatura ed espianto sono immutate nei secoli e largamente recepite dal disciplinare di produzione adottato dall’Associazione Produttori Zafferano di Terra di Lavoro. L’impianto avviene a fine agosto/inizio settembre, su suoli ricchi di nutrienti. La raccolta si svolge nell’arco di poco meno di un mese a cavallo tra ottobre e novembre La mondatura e l’essiccazione avvengono entro poche ore dalla raccolta.
In tale fase per ottenere un prodotto esente il più possibile da anomalie gustative, si evitano metodi di essicazione su brace o fuoco e si preferisce ricorrere all’essiccazione ad aria calda in modo da poter controllare meglio i parametri di Temperatura e tempo di essiccazione. Il prodotto secco viene conservato in barattoli ermetici, al buio, in attesa del confezionamento. Circa 3 mesi dopo l’essicazione si procede all’analisi di safranale, picrocrocina e crocina oltre all’umidità, secondo le norme ISO 3632.
Osservazioni sulla tradizionalità
La produzione dello zafferano avviene ancora oggi secondo metodiche in continuità con la tradizione sebbene oggi possa giovare di alcune innovazioni negli strumenti e della maggiore attenzione dal punto di vista igienico sanitario. La necessità di produrre zafferano di prima qualità spinge i produttori a ricorrere a metodi e prodotti tipici dell’agricoltura biologica, a basso impatto ambientale, come sancito anche dal disciplinare dell’associazione, allineato in gran parte ai disciplinari di produzione di altre aree d’Italia e ai documenti storici che illustrano la produzione in Terra di Lavoro. L’uso della spezia, sebbene scarsamente documentato nella gastronomia, si ritrova presso alcune ricette locali e nei rimedi farmacologici (Es. sul vulcano di Roccamonfina).
La coltivazione dello zafferano, triploide sterile di probabile origine ibrida, ha inizio alcuni millenni prima di Cristo nell’area dell’Egeo o dell’Asia Minore. In Europa fu portato dagli Arabi sicuramente in Spagna mentre in Italia sono molteplici le testimonianze della coltura in diverse regioni. Tuttavia la più antica tradizione vuole che un monaco abruzzese abbia introdotto la coltura in Italia, precisamente in Abruzzo, nel XIV secolo. comunale di Castellonorato, oggi accorpato alla città di Formia, avrebbe riportato lo zafferano Nell’antica Terra di Lavoro si hanno notizie della coltura già dal medioevo: lo statuto del 1507 fra le colture tipiche del territorio collinare (De Santis A., Nuovo Giornale Botanico Italiano 1952).
A queste vaghe notizie si aggiunge, invece, un articolo del 1846 (Allegato 2) ad opera di Giovanni Sideri che, ne “La Campania Industriale”, periodico edito dalla Reale Società Economica di Terra di Lavoro, descrive una prova di coltivazione presso Capua.
Territorio di produzione
Comuni dell’alto casertano, di terra di lavoro e dell’appennino campano
Grano arso PAT Campania
Prodotto storicamente povero, tipico delle aree cerealicole del sud italia (irpinia, fortore, foggiano), legato alla pratica della spigolatura praticata dalle donne nei grandi latifondi coltivati a grano, nelle aree interne subappenniniche di Campania e Puglia.
Porchetta del Sannio PAT Campania
Taraddi con finocchio PAT Campania
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